PINKHAS 5783 : 5 LEZIONI

5 Luglio 2023 1 Di HaiimRottas

Questo Shabbàt 8 Luglio 2023 19 del mese di TAMMUZ 5783 leggeremo la Parashà di Pinkhàs PARASHÀ
Num 25: 10 – 30: 1

HAFTARÀ
Italiani I Re 18:46-19:21
Sefarditi: Ger. 2: 4-28; 4: 1-2
Ashkenaziti: Ger. 2: 4-28; 3: 4

PINHAS: COME MAI FIGLIE DI ZLOFKHAD SUPERANO MOSHÈ?

Nella Torà ci sono lettere più grandi o più piccole della norma che nascondono un messaggio celato. Una di esse è la nun finale della parola משפטן-il loro giudizio. Il midràsh dice (Tankhuma Pinekhàs 9) che Moshè ha temporaneamente dimenticato la regola che in assenza di figli maschi l’eredità passa alle figlie femmine. In tal caso la nun finale (che ha il valore numerico di 50), insolitamente grande, allude al 50° livello dell’intelletto. Questa nun anomala spiega perché a Moshè non gli era stato ancora rivelato questo elevatissimo livello di conoscenza del divino. Questo concetto è collegato ai due modi in cui può essere letta la parola לפני che può voler dire sia davanti e sia superiore: “il loro giudizio dinanzi ad Hashèm” o “sopra Hashèm “. Quest’ultimo modo allude al 50° livello che trascende il livello di Hashèm il Tetragramma, pertanto esso non è percepibile da un essere umano. Per questo motivo è scritto che Moshè si era “dimenticato” la regola dell’ereditarietà delle femmine, poiché questa regola non la poteva apprendere in quanto il 50° livello, che è “sopra (il livello di) Hashèm”, è un livello troppo elevato (come la nun grande), anche per Moshè (Rabbenu Bekhaye). Moshè, infatti, raggiungerà questo livello solo nel giorno della sua morte sul monte Nevò, parola che in ebraico נבו forma l’acronimo “נ nun – בו bo” – “50 in esso”: solo nel giorno della morte Moshè percepisce il 50° livello.

Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor

Pubblico dal nuovo libro della Torà la panoramica di Pinekhas basata sui grandi insegnamenti del mio maestro il Rebbe di Lubavitch e metto il pdf della parashà intera con la sintesi e la haftarà.
Ogni lettore può avere il merito di essere socio di questa grandissima opera ed è fonte di grande benedizione.

L’ETERNITÀ NELLE NOSTRE AZIONI

Come Diventare Cohèn
Un tranquillo pomeriggio, Mr. Forbes, un ebreo non osservante, si presentò nello studio di un rabbino ortodosso e fece la sua proposta: «Mi chiamo Forbes e sono disposto a offrirvi 50.000 dollari se mi fa diventare un cohèn (sacerdote)».
Il rabbino si fece ripetere il nome dell’interlocutore e, a malincuore, dovette rifiutare la proposta dicendo: «Mi dispiace, Mr. Forbes, ma è fuori discussione. Solo se lei è nato cohèn, lo può essere». Mr. Forbes raddoppiò la proposta prontamente, ma si scontrò con un nuovo rifiuto del rabbino. Dopo alcuni rilanci, raddoppi e nuovi rifiuti, il rabbino decise di prendere del tempo per pensare: verificò che si trattasse effettivamente di un miliardario e comunicò a Forbes la buona notizia.
Il giorno dopo, il rabbino e i suoi consiglieri, tra grandi onori e festeggiamenti, conferirono all’uomo una medaglia e il titolo di “cohèn onorario”, in cambio della cifra di un milione di dollari. Al termine della cerimonia, il rabbino osò chiedere come mai per un uomo non religioso fosse tanto importante essere un cohèn.
«Ascolti, rabbino: mio padre era cohèn e mio nonno era cohèn… perché non dovrei esserlo anche io?».

Oltre le Nostre Aspettative
La principale lezione che possiamo trarre della porzione della Torà di questa settimana, Pinekhàs, è che siamo molto più di quanto pensiamo di essere…
Questa fondamentale lezione di vita l’apprendiamo proprio dalla parashà precedente (Balàk) che si è conclusa con un episodio molto bizzarro: un uomo quasi sconosciuto, di nome Pinekhàs, trafigge pubblicamente uno dei leader del popolo ebraico, Zimrì, il capo della tribù di Shimòn, assieme alla sua amante una principessa di midyanita! Poi ha fatto il giro di tutto l’accampamento di Israèl tenendo le vittime moribonde sospese in cima alla lancia per pubblicizzare il suo gesto! Così si conclude la parashà di Balàk.
All’inizio della parashà successiva, Pinekhàs, Dio ci informa che la ricompensa che Pinekhàs ha ottenuto per il suo atto fu che lui e la sua discendenza strinsero un “Patto di pace” e divennero cohanìm (sacerdoti) per sempre.
Tutto questo è molto difficile da capire. Innanzitutto, secondo la legge, se non si nasce cohèn è impossibile diventarlo. Un non ebreo si può convertire e diventare ebreo, ma un non cohèn non può diventare sacerdote. Perciò, come è possibile che Pinekhàs sia diventato un cohèn se non lo era mai stato?
L’importanza di essere o meno un cohèn è dimostrata dal seguente racconto. Una volta, il Rebbe di Lubàvitch disse a un uomo semplice, che era cohèn: «Io, con tutti questi libri – e indicò le centinaia di volumi alle pareti intorno a lui – non potrò mai raggiungere il tuo livello. Tu sei un cohèn, solo tu potrai lavorare nel Santuario». Dopo aver sentito una tale dichiarazione da un uomo eccezionale e fuori da ogni standard come il Rebbe, l’uomo iniziò a piangere dall’emozione.
In secondo luogo, perché proprio un cohèn? Perché Dio non poteva rendere Pinekhàs capo di una tribù ad esempio? E, infine, che cosa sta provando a dirci la Torà in questa occasione? Come è possibile che un fatto tanto sanguinario abbia condotto a un “Patto di PACE”?

Hashèm è Tutto
Innanzitutto, cerchiamo di comprendere perché Pinekhàs abbia ucciso Zimrì.
Zimrì stava cercando di distruggere l’identità ebraica togliendo pubblicamente l’aspetto di santità all’atto sessuale. La novità dell’ebraismo non è che si tratta della religione più valida o più “originale”. Anche se di fatto, l’ebraismo non assomiglia in alcun modo a qualunque altra religione, come diciamo ogni giorno: “Ein K’elokènu – Non c’è nulla come il nostro Dio”. Inoltre Israèl non assomiglia a nessun altro popolo, come notò Bil’àm (Bemidbàr 23, 9): “E un popolo che vivrà solitario tra le nazioni”.
Tuttavia, la vera novità dell’ebraismo è nel suo obiettivo, il suo scopo, ovvero rivelare Hashèm in questo mondo, in ogni sua aspetto, rendendo santo persino ciò che è fisico. Per questo motivo la preghiera Shemà ha un ruolo tanto centrale: è la fonte del comandamento di rendere Hashèm “uno”. Ossia di ottenere la consapevolezza che tutta la realtà, apparentemente multiforme e contraddittoria, a volte, in realtà è l’espressione di Dio, poiché tra Lui e il suo creato non esiste distinzione, Lui è UNO, tutta la creazione appartiene a questo UNO.

Un Gesto Eterno
Perciò l’atto sessuale è definitivamente rivestito di santità poiché, oltre a essere all’origine di ogni vita fisica, della famiglia e della società, è di per sé il più fisico degli atti (cfr. Rabbàn, Vayikrà 19, 2). Tuttavia, proprio per questo è anche il più SANTO degli atti umani. Pertanto è trattato come tale.
Perciò, quando Zimrì prese pubblicamente la donna midyanita per i suoi scopi personali, incoraggiò consapevolmente la distruzione dell’ebraismo.
La Torà riporta che tutti i presenti, compreso Moshè, sapevano che, secondo la Torà, Zimrì doveva essere fermato, ma si bloccarono per un momento.
La grandezza di Pinekhàs fu capire che tutto il mondo si trovava in un delicato equilibrio spirituale e che un solo atto avrebbe potuto far oscillare l’ago della bilancia per il bene o per il suo opposto (cfr. Ràmbam, Hilkhòt Teshuvà 3, 4) e che ogni istante del peccato di Zimrì costituiva una potenziale catastrofe per tutto l’universo. Quindi doveva agire subito e con determinazione assoluta.
Perciò rischiò la vita, uscì dall’oscurità per agire immediatamente e finì per salvare tutto Israele (e tutto il mondo). Egli diede al mondo una vita nuova e la sua ricompensa fu di diventare una persona totalmente nuova: divenne un cohèn e, secondo lo Zòhar e altre fonti, anche l’anima del profeta Eliyahu (che sarebbe nato oltre 600 anni dopo) entrò in lui. L’esistenza di un’anima e il suo venire dentro ad un corpo, sono fasi distinte.
Queste due ricompense, ovvero diventare un cohèn e ricevere l’anima di Eliyahu, sono adeguate ai suoi atti. La Chassidut (Likuté Torà Kòrakh 55, 3) spiega che, sebbene ogni discendente di Avrahàm abbia il potere di benedire (cfr. Bereshìt 12, 2), le benedizioni possono essere ritardate, ossia possono non avere un effetto immediato. Un cohèn, invece no! Il suo potere benedicente è speciale, perché ha il potere di tramutare rapidamente le benedizioni in azione. Questo è il motivo del dono del sacerdozio a Pinekhàs e alla sua discendenza. Una ricompensa adeguata alle azioni rapide di Pinekhàs. Allo stesso modo anche Eliyahu, come Pinekhàs, ha santificato se stesso (Mal. I, 19, 10) per il Patto santo di Dio, per questo le due anime vengono associate in una stessa persona.

Oggi come allora
Tutto questo è molto importante fino ad oggi. Oggi, come allora, il popolo ebraico si trova in condizioni difficili. La fede nel Creatore e nei Suoi comandamenti, nell’unicità del popolo ebraico e del suo posto speciale nella creazione, non sempre è evidente.
Tutti noi dobbiamo prendere esempio da Pinekhàs e fare qualcosa per salvare la situazione. Non possiamo più attendere un santo o un leader. Come Pinekhàs, ognuno di noi deve fare tutto ciò che è in suo potere per fare pendere il mondo dalla parte del bene… e persino un solo atto può essere sufficiente.
Rashì (Balàk 25, 6) ci dice che il motivo per cui tutti, tranne Pinekhàs, si bloccarono confusi era per dare a quest’ultimo la possibilità di ottenere quanto gli era dovuto. In altre parole, Dio stava aspettando che Pinekhàs dimostrasse il messirùt nèfesh, l’autosacrificio di sé.
Il Rebbe di Lubavitch ci ha informati che Dio sta aspettando che siamo disposti a sacrificare noi stessi anche oggi, in questo momento e in ogni momento: «Fa’ tutto ciò che è in tuo potere per portare Mashìakh».
È in nostro potere! E appena una persona inizia, Dio dà un’assistenza infinita: nuovi poteri per compiere cose che non avremmo mai ritenuto possibili. Noi POSSIAMO trasformare questo mondo in una benedizione: in un batter d’occhio vedremo che Eliyahu è già arrivato per annunciare l’arrivo di Mashìakh, e il mondo si trasformerà in un paradiso di bene e di vera pace. Vogliamo Mashìakh ora!!

Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor

La vita ci preserva tanti imprevisti e tante sfide. Si rischia di interpretare gli ostacoli in maniera negativa, ma in realtà è solo una nostra interpretazione. Gli eventi di per sé non sono negativi, è la nostra scelta di interpretarli negativi che li fanno diventare negativi.

Se decidiamo di vederli in chiave positiva saranno positivi e non ci creeranno disagio.
LA VITA E’ BELLA E CORTA il più grande dono che abbiamo e non possiamo sprecarla perché ci lasciamo guidare dalla negatività, come quelli che riescono a vedere solo il mezzo bicchiere vuoto e sono sempre tristi.
IL NOSTRO MANUALE DI VITA LA TORA’ ci insegna proprio come fare a scegliere di guardare il mezzo bicchiere pieno e di essere ricchi di gioia e di vita, sempre armoniosi e sereni, sempre produttivi e tenaci, perché non esistono eventi tristi: SIAMO NOI A FARLI DIVENTARE TRISTI.
SCEGLIAMO DI ESSERE FELICI DALLA STORIA DI PINEKHAS!!!
(riassunto della nuova lezione)
Sul seguente link si trova questa lezione di vita fondamentale:
Pinekhas: LA PECORA NERA!
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ogni macchina ha bisogno del SUO MANUALE di utilizzo. Anche l’uomo ha bisogno del suo manuale d’uso che è la Torà.
Senza seguire le istruzioni si può cadere nelle trappole delle prove quotidiane.
In realtà tutto viene da Hashem per il nostro bene ma se ci lasciamo soccombere dai problemi rischiamo di cadere mentre le prove non sono delle trappole ma dei trampolini per salire in alto.
Un esempio di questo insegnamento lo troviamo in uno dei racconti della parashà di questa settimana che ti riporto qui sotto.

Un fantastico approfondimento di vita sul periodo che viviamo e su Mashiàkh.

Ti riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it della parashà di questa settimana.

Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor
PINEKHAS
Al seguente link troverai la pagina web con la lezione sulla nostra parashà:
http://www.virtualyeshiva.it/2009/07/09/pinkhas-5769-i-saggi-discutono-quale-e-la-base-dellebraismo/
Dal seguente link puoi scaricare direttamente sul tuo portatile la lezione di Pinkhàs di questa settimana:
http://www.virtualyeshiva.it/files/09_07_09_pinkhas5769_sacrificioquotidiano_base_ebraismo.mp3

I SAGGI DISCUTONO: 

QUALE E’ LA BASE DELL’EBRAISMO?

Sappiamo che la Torà ha rivoluzionato il mondo a livello di filosofia, sociologia e psicologia.
Vediamo di capire insieme questo concetto in rapporto al sacrificio dell’agnello quotidiano mattina e sera

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YEKHIDA AUTOSACRIFICIO:

QUINTO LIVELLO DELL’ANIMA

Panoramica di Pinekhàs
La Parashà di Pinekhàs si apre con la continuazione della storia, che ha avuto inizio alla fine della precedente parashà di Balàk. Come abbiamo già sottolineato, il racconto di Pinekhàs è una parte della più ampia storia dell’incontro del popolo ebraico con l’alleanza moabita-midyanita, alla vigilia del suo ingresso nella Terra di Israele.
Dopo aver descritto la ricompensa di Pinekhàs per aver fermato sia l’improvviso declino morale del popolo ebraico che la piaga divina che ne derivò, la Torà procede a descrivere il censimento causato dalla decimazione generata dal flagello. Questo censimento funge da prologo alla successiva discussione di questioni pertinenti alla conquista della Terra Promessa, in quanto la terra deve essere divisa in base ai risultati del conteggio.
Dopo il censimento, la Torà discute:
• le leggi dell’ereditarietà,
• il passaggio del comando da Moshè a Yehoshù’a,
• i sacrifici pubblici giornalieri e quelli festivi supplementari da offrire nel Santuario.
Sappiamo che il nome di una parashà si applica a tutto il suo contenuto, non solo alla sua parte iniziale. Quindi la domanda è: che cosa hanno a che fare il censimento, le leggi dell’ereditarietà, il passaggio del comando e le offerte quotidiane e festive con Pinekhàs? Inoltre, perché la storia di Pinekhàs si divide tra la fine della parashà precedente e l’inizio di questa? Sarebbe stato più logico concludere la storia (che richiede solo pochi versi, dopo tutto) alla fine della parashà di Balàk e iniziare la successiva parashà con il censimento. È vero, il censimento è stato reso necessario dagli eventi della storia di Pinekhàs, ma esso è collegato con l’imminente conquista di Israèl e quindi si inserisce bene con questo argomento successivo.
Per capire questo, ricordiamo che nella panoramica della precedente parashà, la Torà descrive dettagliatamente la storia di Balàk perché ci sono lezioni da imparare che sono essenziali per gli ebrei prima che essi entrino nella Terra di Israèl (in particolare, queste erano le profezie messianiche e l’idea che l’imperativo messianico dovesse essere applicato anche agli aspetti più bassi del creato). Allo stesso modo, la Torà descrive il secondo atto del dramma della vicenda di Moàb – Midyàn e la storia di Pinekhàs, per trasmettere una lezione essenziale che gli ebrei imparino prima di entrare nella Terra di Israele (e che noi impariamo per riuscire a entrare nelle nostre “terre promesse” personali su piccola scala), così anche per accelerare l’ingresso definitivo nella Terra Promessa con l’avvento del Messia.
Qual è questa lezione?
Ironicamente si potrebbe dire, e forse inizialmente anche in modo preoccupante, è che la nostra devozione a Hashèm non deve essere limitata dalla Torà. Quando Pinekhàs uccide Zimrì e Kozbì, si consulta prima con Moshè, il quale gli dice che sebbene la Torà permetta, a chi è sopraffatto dallo zelo, di uccidere qualcuno sorpreso nell’atto di un rapporto intimo immorale[1], questa è “una legge che non viene insegnata”, cioè nessuno può essere istruito a fare questo[2]. In realtà, i saggi disapprovano un simile atto. Inoltre, il colpevole è autorizzato a uccidere l’uomo zelota (colui che è zelante, geloso per una cosa) per autodifesa[3]. In altre parole, uccidendo Zimrì, Pinekhàs stava facendo qualcosa che non gli era richiesto dalla Torà, che era disapprovata dai saggi ed egli ha messo a rischio anche la sua stessa vita.
Tuttavia, agendo per zelo e ignorando la voce della prudenza, Pinekhàs mise fine al comportamento peccaminoso del popolo, sospese la piaga che lo stava decimando e guadagnò il sacerdozio per se stesso e la sua progenie. Chiaramente egli ebbe ragione.
Per comprendere appieno le implicazioni di ciò, dobbiamo esaminare più da vicino la triplice connessione tra Dio, la Torà e Israèl.
La Torà, lo sappiamo, è il libro di istruzioni di Hashèm per il creato in generale e per il popolo ebraico in particolare. Ci insegna come relazionarci con il mondo e realizzare qui il nostro scopo.
La Torà ci trasmette queste lezioni attraverso il nostro intelletto. Leggiamo la Torà, comprendiamo ciò che dice e la seguiamo. Se non capiamo parti di essa, continuiamo a studiarla e a cercare istruzioni dai suoi insegnanti finché non la comprendiamo. Eppure sicuramente il legame con Hashèm è superiore al legame che possiamo filtrare attraverso il nostro intelletto. Come abbiamo notato in precedenza, esiste una dimensione spirituale della relazione tra Hashèm e Israele, trasmessa attraverso la Torà, che trascende, oltrepassa ed è completamente al di sopra della dimensione dell’intelletto. L’essenza interiore dell’ebreo è legata soprarazionalmente a Dio, e se le conseguenze di questo legame non sembrano sempre razionali, questo non deve sorprenderci o scoraggiarci.
In altre parole, la Torà parla al nostro intelletto, ma allo stesso tempo apre le finestre alla dimensione sovra-intellettuale della nostra relazione con Hashèm. Le Sue richieste su di noi sono esteriormente razionali, ma sublimemente sovrarazionali.
Apparentemente, la Torà richiede che sacrifichiamo le nostre vite solo in certi casi. Se qualcuno minaccia di ucciderci se non commettiamo un atto di adulterio, idolatria o omicidio, siamo costretti a rinunciare alle nostre vite piuttosto che compiere queste colpe. Oppure anche nel caso in cui il regime al potere ha dichiarato una guerra totale alla Torà e vieta di osservare i suoi precetti, allora siamo tenuti a rischiare la vita in qualsiasi modo pur di osservarli. In tutti gli altri casi, tuttavia, non siamo tenuti a sacrificare le nostre vite e, di fatto, dobbiamo trasgredire le leggi della Torà per rimanere in vita. Quando la Torà richiede che sacrifichiamo le nostre vite, è perché in questi casi è ragionevole: in queste circostanze il sacrificio di sé è razionale.
Pertanto, finché l’ebreo esegue le regole a livello razionale, sacrificherà la sua vita solo in queste circostanze. In tutti gli altri casi, egli sa che la Torà preferisce che egli trasgredisca le Sue leggi piuttosto che rinunciare alla propria vita e, quindi, questo è ciò che farà.
Quando, tuttavia, un ebreo si sente così fortemente connesso ad Hashèm che la ragione e i fondamenti logici non hanno effetto su di lui, quando la sua coscienza è stata oltrepassata dalla sua essenziale, intrinseca e sovrarazionale legame con Hashèm, non gli importa se la Torà gli richiede di sacrificare la sua vita in qualche caso particolare. La sua unica preoccupazione sarà per Dio: egli agisce spinto dalla sua sfrenata passione per le cause di Hashèm, senza valutare le conseguenze per la sua stessa vita. Quando, in una tale situazione, l’individuo sente che il programma di Hashèm nel mondo è in qualche modo minacciato, non c’è dubbio su cosa farà. Questa intensità della coscienza di Hashèm mette costantemente la persona pronta al sacrificio di sé.
Lo scopo della vita è rendere questo mondo (e noi stessi) una casa per Hashèm, riempendo ogni angolo della creazione con la realtà di Dio. Quindi, questa prontezza al sacrificio di sé simboleggia l’intensità della coscienza Divina che caratterizzerà il futuro messianico. Più di questo: il sacrificio di sé è proprio ciò che porterà il futuro messianico, poiché per raggiungere una completa coscienza divina, che è l’obiettivo della creazione, dobbiamo uscire dai limiti della razionalità ed entrare in un livello di unione con Hashèm che supera i limiti della dimensione della logica.
Questo, quindi, è il motivo per cui la lezione di Pinekhàs è stata così cruciale per Israèl mentre stava per entrare nella Terra Santa. Questa è la prima volta che la Torà ha indicato che è necessario andare oltre i suoi dettami. Avendo sentito parlare delle profezie messianiche di Bil’àm e avendo messo gli occhi sul vero scopo della loro imminente conquista, il popolo ebraico deve ora rendersi conto che questo obiettivo può essere raggiunto solo se mostra la vera identificazione interiore con Hashèm e i Suoi obiettivi e non limita se stesso alla mera letteralità della legge.
Lo stesso vale per ognuno di noi nelle nostre vite personali. Ogni volta che siamo in procinto di raggiungere un grande obiettivo per il quale stiamo lottando, dobbiamo prima mettere a tacere le voci interne della negatività e dell’opposizione. Ma in aggiunta, dobbiamo essere consapevoli che in questo momento non è il tempo di porre limiti alla nostra dedizione. La prova di una vera devozione ai nostri ideali è la nostra volontà di dare tutto in quello in cui crediamo.
Ancora, lo stesso vale adesso per noi tutti, mentre ci troviamo sulla soglia della Redenzione finale e dell’ingresso nella Terra di Israele. Ciò che ci è richiesto ora è la disponibilità a mettere da parte tutto il resto e a “schierare in campo” ciò che abbiamo di migliore e di più grande, per poter vedere la storia concludersi verso il suo destino messianico.
E proprio come con Pinekhàs, Hashèm aiuterà coloro che dimostrano il sacrificio di sé di fronte alle avversità; Egli benedirà i loro sforzi con il successo. La storia ha dimostrato che coloro che non si piegano alle minacce dei nemici dell’ebraismo alla fine prevalgono. Questo è il motivo per cui la storia di Pinekhàs è divisa tra due parashòt, quella Balàk e quella di Pinekhàs, lasciando l’auto sacrificio nella precedente parashà e concentrandosi ora sulla sua ricompensa: per insegnarci che il sacrificio di sé ha successo e ci porterà fino alla Redenzione finale[4].
Dimensioni Profonde
Nella terminologia cabalistica, il sacrificio completo di sé (Pinekhàs) manifesta il livello di yekhidà (unica), il più alto dei cinque livelli dell’anima, dove l’anima è unica con Hashèm, senza tramiti. Yekhidà è l’interfaccia tra l’anima e Hashèm, in cui l’individuo è consapevole di se stesso solo come una “parte di Dio”. In questo livello si è, paradossalmente, consci dell’esistenza di se stessi (come parte di Hashèm) e allo stesso tempo consapevoli del fatto di non esistere (cioè, totalmente dissolti nella realtà di Hashèm).
I quattro livelli inferiori dell’anima – nèfesh, ruàkh, neshamà e khayà – si esprimono attraverso i “poteri” o le facoltà che l’anima da vitalità al corpo: rispettivamente l’azione fisica (es. mani e piedi), l’emozione (cuore), l’intelletto (testa) e la volontà (tutto il corpo). Al contrario, Yekhidà è troppo sublime per esprimersi in qualsiasi facoltà o immagine, ma dall’altra parte le comprende tutte.
In questo livello l’anima è nella sua essenza che è parte del Creatore e la sua unione è senza tramiti perché la Yekhidà è l’essenza dove è unica con Hashèm.
Oggigiorno non siamo consapevoli di questo aspetto profondo dell’anima che raramente si manifesta (es. nel giorno di Kippùr), ma in futuro questo livello diventerà l’aspetto dominante della nostra coscienza. Questo quinto livello rifletterà il cambiamento generale nella creazione che si verificherà allora: la “luce” divina, che ora è troppo intensa per essere rivelata nel mondo, si rivelerà nella realtà creata e il mondo rifletterà un’altra apparenza quella vera, che oggi il creato nasconde: la mano di Hashèm che è rivestita dietro un guanto chiamato “natura”.
Proprio come i quattro livelli dell’anima saranno pervasi con la luce infinita di Yekhidà, così anche i quattro mondi spirituali di AtzilùtBeriàYetzirà e Assiyà saranno infusi con la “luce” divina trascendente.
A un livello più profondo, la dinamica tra la privazione ed essere permissivi esiste solo negli stati mentali di un percorso creativo – razionale. La forza iniziale dell’intuizione creativa, Khokhmà lo mette in uno stato di auto-trascendenza, in cui il suo ego è temporaneamente sospeso (bitùl) dalla lampo di luce che lo ha illuminato. Nella fase successiva dello sviluppo razionale, entra in scena il secondo livello dell’anima di Binà: la nuova intuizione viene analizzata nelle sue componenti e integrata nella struttura mentale. Questa è un’esperienza inversa, in cui l’individuo è piuttosto consapevole di se stesso e cerca di comprendere la nuova intuizione alla luce di ciò che già sa.
Quando una persona viene catapultata nella trascendenza divina di Khokhmà, non ha bisogno di preoccuparsi dell’autocontrollo detto “privazione”. Finché l’auto-annullamento di Khokhmà esiste, il suo ego non cercherà di farlo deragliare nell’indulgenza con se stesso. Ma per comprendere deve per forza passare nell’ambito di Binà, e analizzare e valutare la nuova intuizione in relazione alla sua consolidata percezione mentale, deve invocare il potere protettivo della privazione; deve stare attento alla propensione del proprio ego a enfatizzare eccessivamente i propri interessi personali.
È necessario che una persona discenda dal suo stato trascendente di Khokhmà – illuminazione, al fine di integrare la nuova visione nella propria vita. Altrimenti, la sua intuizione gli sfuggirà e scomparirà. Quindi, il processo di Binà è necessario per la crescita e lo sviluppo.
Tuttavia, al fine di mantenere lo sviluppo dell’idea fedele all’intuizione iniziale che lo ha generato, l’individuo deve periodicamente rivivere qualcosa dell’esperienza di Khokhmà. Facendo questo, la sua Binà non lo porterà fuori strada.
Questo concetto di rivivere l’intuizione di Khokhmà per proteggere lo sviluppo di Binà è simile al processo in cui un giudice annulla i voti a una persona che altrimenti sarebbero prescritti. Questo avviene perché si eleva colui che fa il voto a un livello in cui il voto non è più necessario di essere rispettato[5], similmente al processo dell’elevazione di Binà in Khokhmà.
Allo stesso modo la storia della parashà di Pinekhàs simboleggia l’elevazione di Binà in Khokhmà: Pinekhàs trascendendo ogni logica razionale acquisisce il sacerdozio. Questo simboleggia il nuovo rapporto e la nuova consapevolezza, che vi sarà nel futuro messianico tra l’uomo e Hashèm.
(estratto dal nuovo libro della Torà Bemidbàr che ha bisogno di tanti soci per essere pubblicato)

[1] Talmùd Sanhedrin 81b; Shulkhàn ArùkhKhoshèn Mishpàt 425:4.
[2] Talmùd Sanhedrìn 82a. Una volta che il colpevole si è separato dalla donna, non può essere processato da un tribunale terreno e la sua punizione è lasciata al tribunale celeste. Pertanto chiunque lo uccida, a quel punto, è egli stesso passibile di pena di morte.
[3] Questo è il motivo per cui le autorità rabbiniche non possono ordinare all’uomo molto zelante di uccidere il peccatore, perché così facendo metterebbe in pericolo la sua stessa vita, quando non è obbligato a farlo. Al massimo possono riconoscergli il permesso di ucciderlo (e rischiare per conto suo la propria vita)
[4] Likuté Sikhòt vol. 18, pp. 319 e segg.
[5] Likuté Sikhòt vol. 4, pp. 1078-9
La vita ci preserva tanti imprevisti e tante sfide. Si rischia di interpretare gli ostacoli in maniera negativa, ma in realtà è solo una nostra interpretazione. Gli eventi di per sé non sono negativi, è la nostra scelta di interpretarli negativi che li fanno diventare negativi.
Se decidiamo di vederli in chiave positiva saranno positivi e non ci creeranno disagio.
LA VITA E’ BELLA E CORTA il più grande dono che abbiamo e non possiamo sprecarla perché ci lasciamo guidare dalla negatività, come quelli che riescono a vedere solo il mezzo bicchiere vuoto e sono sempre tristi.
IL NOSTRO MANUALE DI VITA LA TORA’ ci insegna proprio come fare a scegliere di guardare il mezzo bicchiere pieno e di essere ricchi di gioia e di vita, sempre armoniosi e sereni, sempre produttivi e tenaci, perché non esistono eventi tristi: SIAMO NOI A FARLI DIVENTARE TRISTI.
SCEGLIAMO DI ESSERE FELICI DALLA STORIA DI PINEKHAS!!!
(riassunto della nuova lezione)
Sul seguente link si trova questa lezione di vita fondamentale:
Pinekhas: LA PECORA NERA!
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ogni macchina ha bisogno del SUO MANUALE di utilizzo. Anche l’uomo ha bisogno del suo manuale d’uso che è la Torà.
Senza seguire le istruzioni si può cadere nelle trappole delle prove quotidiane.
In realtà tutto viene da Hashem per il nostro bene ma se ci lasciamo soccombere dai problemi rischiamo di cadere mentre le prove non sono delle trappole ma dei trampolini per salire in alto.

Un esempio di questo insegnamento lo troviamo in uno dei racconti della parashà di questa settimana che ti riporto qui sotto.

Ti riporto i link delle lezioni on line su virtualyeshiva.it della parashà di questa settimana.

Shabbat Shalom
Rav Shlomo Bekhor
PS.
la nuova Parashà di Pinekhàs sarà caricata su Facebook più tardi.
Qui sotto un estratto di un commento dalla nuova Parashà dal nuovo libro in anteprima.
Un fantastico approfondimento di vita sul periodo che viviamo e su Mashiàkh.
PINEKHAS
Al seguente link troverai la pagina web con la lezione sulla nostra parashà:
http://www.virtualyeshiva.it/2009/07/09/pinkhas-5769-i-saggi-discutono-quale-e-la-base-dellebraismo/
Dal seguente link puoi scaricare direttamente sul tuo portatile la lezione di Pinkhàs di questa settimana:
http://www.virtualyeshiva.it/files/09_07_09_pinkhas5769_sacrificioquotidiano_base_ebraismo.mp3

I SAGGI DISCUTONO: 

QUALE E’ LA BASE DELL’EBRAISMO?

Sappiamo che la Torà ha rivoluzionato il mondo a livello di filosofia, sociologia e psicologia.
Vediamo di capire insieme questo concetto in rapporto al sacrificio dell’agnello quotidiano mattina e sera

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LA VERA PACE שלום

In anteprima un commento estratto dalla parashà di questa settimana di Pinekhàs, cap 25 verso 12 dal NUOVO LIBRO DELLA TORA TRADOTTA E COMMENTATA.
la lettera vav di shalòm è tagliata a metà. Tutte le lettere della Torà devono essere integre e se no i rotoli non sono kashèr – idonei. L’unica eccezione di tutta la Torà è questa vav che deve essere tagliata in due.
Il Ben Ish Khay spiega sulla base del Talmùd che Pinekhàs e il profeta Eliyahu sono la stessa persona che si manifesta in due noti protagonisti della Torà. Questo dono della longevità eterna gli viene conferito con la benedizione dello Shalòm – pace: armonia tra anima e corpo, spirito e materia. Quando vi è pace tra essi non vi sono più malattie, dolore e morte e quindi si riceve la vita eterna. Perciò Pinekhàs non è mai morto, ma a un certo punto scompare per riapparire nelle vesti del profeta Eliyahu. Perciò troveremo un’allusione alle due vite proprio nella parola che simboleggia la vita eterna (shalòm) e in particolare nella lettera vav (che secondo la mistica rappresenta il percorso lineare della vita) tagliata in due, che rappresenta due vite racchiuse in una sola (lettera) persona.
Baàl Haturìm da una lettura messianica. La vav tranciata di Shalòm è legata al nome di אֵלִיָה – Eliyà scritto senza vav per ben 5 volte (nei Profeti). Similmente anche il nome יַעֲקֹב – Ya’akòv compare per ben 5 volte, nella Torà, con una vav in più: יַעֲקוֹב. Ya’akòv prende questa lettera come garanzia, affinché Eliyahu ritorni, come promesso, per annunciare al mondo l’arrivo di Mashiàkh. Solo quando arriverà la redenzione Ya’akòv restituirà definitivamente la vav a Eliyà, perfezionando il suo nome. Perciò il compimento totale della pace – Shalòm, avverrà quando il livello individuale sarà condiviso con quello collettivo, ovvero quando Pinekhàs – Eliyà diffonderà l’armonia che lui ha ricevuto tra spirito e materia a tutto il mondo. Solo allora tutti vivranno in eterno e Hashèm sarà rivelato senza veli nel mondo materiale. La contesa sulla vav è simboleggiata con la divisione della lettera tra il patriarca e il profeta. Anche se in apparenza la materia sembra in contrasto allo spirito, il nostro lavoro è quello di trasformare la materia come ha fatto Pinekhàs. Lui ha ricevuto la pace – Shalom, la vita eterna a tal punto da salire in cielo con il corpo. Proprio per questo Eliya ritornerà ad annunciare Mashìakh, poiché la sua armonia tra spirito e materia erano così perfette da essere un esempio per la futura era messianica che investirà il mondo intero (cf Sikhà pag. xxx)
Questo si collega con il prossimo commento del Baàl Haturìm: il valore numerico di שָׁלֽוֹם – Shalòm è 376, che è il valore di zehu (questo è) Mashiàkh: זֶהוּ – zehu 18, מָשִׁיחַ – Mashiàkh 358: 18+358=376. Questa pace di Pinekhàs è (l’anteprima) dell’era messianica.
MASHIAKH NOW!!!

PINKHAS

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PINKHAS 5769 – I SAGGI DISCUTONO: QUALE E’ LA BASE DELL’EBRAISMO?
Sappiamo che la Torà ha rivoluzionato il mondo a livello di filosofia, sociologia e psicologia. Vediamo di capire insieme questo concetto in rapporto al sacrificio dell’agnello quotidiano mattina e sera.

PINKHAS 5768 – NATURA O HA-SHEM?
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